martedì 3 dicembre 2013

Ermanno Cavazzoni – Il poema dei lunatici

Le mie ricerche di terre e popolazioni continuavano intanto; e avremmo voluto capire le questioni di geografia, per orientarci.
Gliene parlavo, ma i confini di queste regioni sono talmente frastagliati e sinuosi, e anche talmente incerti, che non si sa esattamente da dove passino. Non ci sono carte o mappe affidabili, e io non conosco nemmeno trattati o atti ufficiali.
Questo confine, dicevo, è talmente a zig zag, che i territori sono come intrecciati, e uno quando cammina passa senza volere continuamente frontiera; ma se è un uomo che incute rispetto, non se ne accorge, o se ne accorge pochissimo, e quelli che stan di vedetta dall’altra parte lo lasciano stare, o gli da dei fastidi che sembrano casi ordinari: un male di testa o di denti, ma su un dente che è già cariato; o dei brutti sonni, o della balbuzie, qualche volta, in modo che uno dica una cosa invece di un’altra e faccia magari una figura barbina.
Ma i signori sicuri, di questi scherzetti non si chiedon ragione, e continuano a espatriare e a tornare, senza nessuna attenzione, cosicché anche quelli là rinunciano a dare fastidio. O preparano magari col passare del tempo qualche vendetta sanguinosa e definitiva, cosicché quei signori, che erano tracotanti e sicuri, alla fine non hanno più nemmeno il coraggio di uscire di casa; e dicono che non se la sentono e che hanno la fobia, o le cosiddette paturnie del sistema nervoso.
Secondo il prefetto una carta geografica voluta dal governo o dall’aeronautica, sarebbe una grande risoluzione.
Ma i problemi di rappresentazione sono difficilissimi, e non per il passaggio dalla sfera al piano, gli dicevo, che avrebbe già delle soluzioni, ma perché sembra che questi confini ognuno li sposti in avanti o indietro, o in alto o in basso. E che cioè questo zig zag sia effetto del via vai della gente, che mentre cammina o si ferma a pensare, si tira dietro la linea della frontiera che probabilmente è come un elastico lungo molti chilometri che s’ingarbuglia alle gambe, e ha un’escursione sul piano imprevedibile. Un istituto di cartografia militare non ha l’attitudine né gli strumenti per una geografia così indefinita, e in genere manda dei corpi speciali di genieri a piantare del filo spinato e dei paletti, perché non si sposti il confine che han disegnato, e le carte restino buone per un certo tempo almeno.
Parlavamo così, molto precisamente.

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